sabato 14 luglio 2012

USA: piantagioni zeppe di pesticidi, malformazioni genetiche tra i bimbi dei braccianti


I “bambini di Immokalee” hanno riportato alla nascita gravi malformazioni a causa delle infezioni da pesticidi contratte dalle loro madri durante la raccolta dei pomodori. Barry Eastbrook ci parla del caso che ha scioccato gli Stati Uniti.
Tower Cabins è un campo di lavoro costituito da una trentina di baracche e qualche roulotte in rovina, tenute insieme da un recinto di legno non verniciato a sud di Immokalee, nel cuore delle grandi piantagioni di pomodori della Florida sud-occidentale.

La comunità di poveri braccianti immigrati è desolata nel migliore dei casi, ma poco prima del Natale di qualche anno fa avevano di che rallegrarsi. Tre donne, tutte vicine di casa, stavano per partorire a breve distanza l’una dall’altra, nel giro di sette settimane. Ma nella vita dei raccoglitori di pomodori è sottile il confine tra speranza e tragedia.

Il primo bambino, figlio del 20enne Abraham Candelario e della moglie 19enne Francisca Herrera, arriva il 17 dicembre. Lo chiamano Carlos. Carlitos (come è soprannominato) nasce con una rarissima forma di “sindrome di tetra-amelia”, che gli provoca in breve la perdita sia delle braccia che delle gambe.

Circa sei settimane più tardi, un paio di capanne più in là, Sostenes Maceda dà alla luce Jesus Navarrete. Il bambino soffre della sequenza di Pierre Robin, una disfunzione della mascella inferiore per cui la lingua tende continuamente a riversarsi all’interno della gola, rischiando di farlo morire soffocato. I genitori sono costretti a nutrirlo per mezzo di un tubo di plastica.

Due giorni dopo la nascita di Jesus, Maria Meza mette al mondo Jorge. Ha un orecchio solo, niente naso, una palatoschisi, un unico rene, niente ano e nessun organo sessuale visibile. Solo dopo un esame dettagliato di quasi due ore, i dottori riescono a stabilire che Jorge è in effetti una femmina. I genitori le cambiano il nome in Violeta. Ma le malformazioni congenite sono così gravi che sopravvive soltanto tre giorni.
Oltre al fatto di vivere nel raggio di cento metri l’una dall’altra, Herrera, Maceda, e Meza hanno un’altra cosa in comune. Lavorano tutte per la stessa compagnia, l’Ag-Mart Produce, e nello stesso sconfinato campo di pomodori. I consumatori conoscono Ag-Mart soprattutto per i suoi pomodori commercializzati con il nome Ugly-Ripe e i grappoli di Santa Sweets venduti in contenitori di plastica a forma di conchiglia, abbelliti con tre sorridenti e danzanti pupazzi-pomodoro di nome Tom, Matt e Otto. “I bambini amano fare merenda con le nostre sorprese”, dice lo slogan della compagnia.
Dalle file di pomodori dove lavoravano le tre donne durante i mesi di gravidanza, non si godeva di una visione così confortevole. Un cartello all’entrata avvertiva che la piantagione era stata trattata durante la stagione della semina con almeno trentun tipi diversi di composti chimici, molti dei quali erano indicati come “altamente tossici” e almeno tre l’erbicida Metribuzin, il fungicida Mancozeb e l’insetticida Avermectin sono noti per i loro effetti nocivi “per lo sviluppo e la riproduzione”, secondo il Pestice Action Network. Sono teratogeni, ossia possono provocare malformazioni alla nascita.
Violazioni della sicurezza

Per l’utilizzo agricolo di questi veleni negli Stati Uniti, l’Environmental Protection Agency impone “intervalli d’accesso ristretto” (REI nel gergo dell’agricoltura chimica) tra il momento in cui i pesticidi vengono applicati e quello in cui è consentito ai lavoratori di accedere alla piantagione. In tutti e tre i casi, le donne hanno dichiarato di aver ricevuto ordine a procedere al raccolto in violazione della normativa REI.

Mentre lavoravamo alla piantagione, sentivamo distintamente l’odore degli agenti chimici”, ha raccontato Herrera, madre di Carlitos. Accertamenti successivi hanno dimostrato che Herrera lavorò in campi trattati di fresco con il mancozeb dai ventiquattro ai trentasei giorni dopo la concezione, la fase in cui il feto inizia a svilupparsi fisicamente e neurologiamente.

Meza ricorda: “Mi è successo diverse volte al lavoro di respirare l’agente chimico una volta che si era seccato e polverizzato.” Nonostante la normativa imponga a chi maneggia simili pesticidi l’utilizzo di maschere protettive, guanti appositi, grembiuli di gomma e respiratori al vapore, le tre donne hanno dichiarato di non esser state avvertite dei rischi dell’esposizione agli agenti chimici. Non indossavano equipaggiamenti protettivi, a parte le bandane con cui si coprivano (inutilmente) la bocca per cercare di evitare l’inalazione.

Herrera ha inoltre raccontato di essersi sentita male durante tutto il periodo in cui lavorò alla piantagione, di esser stata soggetta a attacchi di nausea, vomito, vertigini e a svenimenti. Occhi e naso le bruciavano per l’irritazione. Aveva sviluppato anche eruzioni cutanee e ferite aperte.

Mollare il lavoro non era possibile. Herrera ricorda che il suo capo, un sub-appaltatore di Ag-Mart, le disse che se si fosse ritirata sarebbe stata cacciata a pedate dall’alloggio fornitole presso la piantagione. Ironia della sorte, l’imminente arrivo del primo figlio rendeva ancor più indispensabile per lei e il marito un tetto sopra la testa. Lavorò alla piantagione a partire dal concepimento fino al settimo mese di gravidanza, una manciata di settimane prima dell’arrivo prematuro di Carlitos. E anche dopo aver lasciato la piantagione, continuò a lavare a mano gli abiti contaminati di suo marito e del fratello, Epifanio.

La malformazione alla mascella di Jesus si dimostrò meno pericolosa di quanto era sembrato all’inizio, e i dottori dissero alla madre che le condizioni del bambino sarebbero probabilmente migliorate con la crescita.
I genitori di Violeta dovettero piangere la morte della bambina. Ma dopo la nascita di Carlitos, i problemi di Herrera e Candelario non fecero che aumentare. Si avvicinava la fine della stagione del raccolto invernale in Florida, e la famiglia sarebbe dovuto emigrare a nord per trovare lavoro. Ma Carlitos necessitava di cure mediche costanti che gli venivano fornite per mezzo di un’agenzia locale, la Children’s Medical Services della contea di Lee. Pur essendo cittadino americano per nascita, i suoi genitori erano messicani e privi di documenti. L’espulsione dal Paese era un rischio reale.

Le cose peggiorarono ulteriormente quando a tre mesi di età il bambino sviluppò problemi respiratori. Periodicamente doveva essere trasportato in aereo da Immokalee al Miami Children’s Hospital. Privi di automobile, Herrera e Candelario dovettero farsi accompagnare dagli operatori sociali da un capo all’altro dello Stato, in viaggi che potevano durare anche cinque ore e che erano possibili solo nei giorni in cui Candelario non veniva chiamato alla piantagione, dove era ancora costretto a lavorare per pagarsi l’affitto.

Nessun commento:

Posta un commento